Cosa dice il decreto Pisanu

Da fine luglio 2005, gli italiani non possono connettersi a un hot spot wi-fi senza prima aver fornito al gestore dell'esercizio dove il punto di accesso ad internet è presente le proprie generalità. E il gestore stesso deve chiedere e ottenere una esplicita licenza dalla questura per poter fornire un accesso a internet ai propri clienti.

In pratica, l'accesso a internet da un luogo pubblico viene trattato in una maniera diversa rispetto a quello ad altri sistemi di comunicazione, come per esempio la telefonia a voce. Testualmente, il decreto legge 144 del 2005 (convertito dalla legge 155/05) recita, nella parte che riguarda gli accessi internet via wi-fi (articolo 7, comma 1): «fino al 31 dicembre 2010, chiunque intende aprire un pubblico esercizio o un circolo privato di qualsiasi specie, nel quale sono posti a disposizione del pubblico, dei clienti o dei soci apparecchi terminali utilizzabili per le comunicazioni anche telematiche, deve chiederne la licenza al questore. La licenza non è richiesta nel caso di sola installazione di telefoni pubblici a pagamento, abilitati esclusivamente alla telefonia vocale».

Più avanti, al comma 4, si impongono «il monitoraggio delle operazioni dell'utente» e «l'archiviazione dei relativi dati..., nonché le misure di preventiva acquisizione di dati anagrafici riportati su un documento di identità dei soggetti che utilizzano postazioni pubbliche non vigilate per comunicazioni telematiche ovvero punti di accesso ad Internet utilizzando tecnologia senza fili».

Il decreto legge fu introdotto dall'allora ministro dell'Interno Giuseppe Pisanu, dopo gli attentati di Londra del 7 luglio 2005. Nel consiglio dei ministri di ieri, è stato approvato, su proposta del ministro degli Interni Roberto Maroni, un disegno di legge secondo cui, in materia di accesso alle reti wi-fi sarà previsto «il superamento delle restrizioni al libero accesso alla rete contenute nel cosiddetto decreto Pisanu, mantenendo tuttavia adeguati standard di sicurezza».

Lo stesso Maroni ha puntualizzato dopo il consiglio dei ministri che dal primo gennaio del prossimo anno ci si potrà collegare liberamente, senza restrizioni, alle reti wi-fi: secondo Maroni, «vengono superate le restrizioni imposte dal decreto di cinque anni fa, che ora sono state oltrepassate dall'evoluzione tecnologica».

 

Analizzando però il decreto Pisanu sorge il dubbio che, se non si interviene con un nuovo provvedimento legislativo (cosa che sembra improbabile dati i tempi ristretti), a decadere dal 1° gennaio del prossimo anno sarà solo il comma 1 dell'articolo 7, l'unico che riporta esplicitamente una data di scadenza. Sicuramente, quindi, sparirà l'obbligo di richiedere una licenza in questura, non quello di chiedere le generalità a eventuali fruitori di un servizio internet, (comma 4).

Il limite imposto dal decreto Pisanu, tuttavia, si è già ridotto per la stessa evoluzione tecnologica. Innanzitutto, un utente smaliziato di internet è semplicemente in grado di accedere alla rete anche da hotspot casalinghi aperti, presenti un po' ovunque.
Secondo una ricerca di una società specializzata in connessioni wi-fi, in Italia gli hot spot internet senza password di accesso, e a cui quindi si può accedere liberamente, sarebbero poco meno del 30% (negli Usa raggiungono il 40%). Quindi, con un po' di tempo e di fortuna (e la possibilità di spostarsi) chi ha una buona conoscenza tecnica è comunque in grado di trovare un hot spot "aperto" per connettersi.

Da questo punto di vista, quindi, il decreto Pisanu è già effettivamente superato, anche perché sembra palese come non sia più lo strumento adatto per coprire la sua esigenza originaria: impedire gli utilizzi illegali della Rete.

Articolo 7
Integrazione della disciplina amministrativa degli esercizi pubblici di telefonia e internet

1. A decorrere dal quindicesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto e fino al 31 dicembre 2010, chiunque intende aprire un pubblico esercizio o un circolo privato di qualsiasi specie, nel quale sono posti a disposizione del pubblico, dei clienti o dei soci apparecchi terminali utilizzabili per le comunicazioni anche telematiche, deve chiederne la licenza al questore. La licenza non e' richiesta nel caso di sola installazione di telefoni pubblici a pagamento, abilitati esclusivamente alla telefonia vocale.

2. Per coloro che gia' esercitano le attivita' di cui al comma 1, la licenza deve essere richiesta entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto.

3. La licenza si intende rilasciata trascorsi sessanta giorni dall'inoltro della domanda. Si applicano in quanto compatibili le disposizioni dei capi III e IV del titolo I e del capo II del titolo III del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, nonche' le disposizioni vigenti in materia di sorvegliabilita' dei locali adibiti a pubblici esercizi. Restano ferme le disposizioni di cui al decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 , nonche' le attribuzioni degli enti locali in materia.

4. Con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro delle comunicazioni e con il Ministro per l'innovazione e le tecnologie, sentito il Garante per la protezione dei dati personali, da adottarsi entro quindici giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono stabilite le misure che il titolare o il gestore di un esercizio in cui si svolgono le attivita' di cui al comma 1 e' tenuto ad osservare per il monitoraggio delle operazioni dell'utente e per l'archiviazione dei relativi dati, anche in deroga a quanto previsto dal comma 1 dell'articolo 122 e dal comma 3 dell'articolo 123 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, nonche' le misure di preventiva acquisizione di dati anagrafici riportati su un documento di identita' dei soggetti che utilizzano postazioni pubbliche non vigilate per comunicazioni telematiche ovvero punti di accesso ad Internet utilizzando tecnologia senza fili.

5. Fatte salve le modalita' di accesso ai dati previste dal codice di procedura penale e dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, il controllo sull'osservanza del decreto di cui al comma 4 e l'accesso ai relativi dati sono effettuati dall'organo del Ministero dell'interno preposto ai servizi di polizia postale e delle comunicazioni.

Internet: Agcom, da ottobre software misura velocità connessione

Roma - A partire dal prossimo ottobre sarà possibile monitorare le prestazioni della propria connessione ad internet da postazione fissa attraverso un software certificato e gratuito che il consumatore potrà utilizzare sul proprio personal computer. Si chiamerà "Misura Internet" il progetto, lanciato dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni in collaborazione con la Fondazione Ugo Bordoni (FUB), che fornisce un innovativo strumento di controllo attraverso il quale il consumatore potrà avere maggiore consapevolezza delle prestazioni offerte dagli operatori e orientarsi tra le offerte di mercato, verificando di persona la qualità della propria linea e confrontandola con quella "promessa" dall'operatore al momento della stipula del contratto. Gli operatori saranno infatti tenuti ad indicare il valore della velocità minima di trasmissione dati dalla rete verso l'utente (download) oltre al valore di velocità massima teorica. Il software messo a disposizione degli utenti, denominato NEMESYS, potrà essere scaricato gratuitamente dal sito www.misurainternet.it in via di realizzazione. Il logo "Misura Internet" (con relativo link alla pagina di download) sarà pubblicato, oltre che sui siti dell'Autorità, della Fub e dell'Iscom (l'organo tecnico/scientifico che opera nell'ambito del Ministero dello Sviluppo economico), anche su quelli delle Associazioni dei consumatori (AA.CC.), in attuazione del protocollo d'intesa tra Agcom e Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti (CNCU) per migliorare trasparenza, completezza e adeguatezza delle condizioni precontrattuali e contrattuali rivolte agli utenti dei servizi di comunicazioni. Al fine di favorire un corretto utilizzo del nuovo strumento di misura e di contribuire alla sua diffusione, è previsto, per metà settembre, un incontro con le AA.CC., già informate sulle finalità del software. L'introduzione di questo innovativo sistema di monitoraggio è frutto dell'attività già svolta, in via sperimentale in quattro regioni italiane (Puglia, Sardegna, Toscana e Veneto), dall'Agcom in collaborazione con la FUB per verificare la velocità di download e upload nel trasferimento dati e del ritardo di trasferimento per le connessioni internet da postazione fissa. I dati preliminari della verifica sperimentale sono consultabili sul sito www.agcom.it alla pagina relativa alla "Carta dei servizi e qualità dei servizi di comunicazione elettronica", sezione "Accesso a internet da postazione fissa". (AGI)

 

Manifesto della rete alternativa di resistenza

 

1 - Resistere è creare

A differenza di molti gruppi e movimenti contestatari o alternativi che spesso adottano una posizione difensiva, noi sosteniamo che la vera resistenza passa dalla creazione, qui e ora, di relazioni e di forme alternative da parte dei collettivi, dei gruppi e delle persone che, attraverso pratiche concrete e una militanza che coinvolge l'esistenza, sappiano andare oltre il capitalismo e la reazione. Sul piano internazionale stiamo assistendo ai prodromi di una controffensiva che segue un lungo periodo di incertezze, di arretramento e di dispersione in gran parte favorito dalla logica neoliberista e capitalista che punta a distruggere quello che si era costruito in un secolo e mezzo di lotte rivoluzionarie.
Da questo momento resistere significa creare le nuove forme, le nuove ipotesi teoriche e pratiche che siano all'altezza della sfida attuale.

2 - Resistere alla tristezza

Viviamo in un'epoca profondamente segnata dalla tristezza, non solo la tristezza delle lacrime, ma soprattutto quella dell'impotenza. Gli uomini e le donne della nostra epoca vivono nella certezza che la vita sia tale che l'unica cosa che possiamo fare, per non peggiorare le cose, sia di sottometterci alla disciplina dell'economicismo, dell'interesse e dell'egoismo. La tristezza sociale e personale ci induce a pensare di non disporre più dei mezzi per vivere un'esistenza autentica e perciò ci assoggettiamo all'ordine e alla disciplina della sopravvivenza. Il tiranno ha bisogno della tristezza, perché così ognuno di noi si isola nel suo piccolo mondo, virtuale e inquietante, proprio come gli uomini tristi hanno bisogno del tiranno per giustificare la propria tristezza.
Noi pensiamo che il primo passo contro la tristezza (che è la forma con la quale il capitalismo si dà nelle nostre esistenze) sia la creazione, in forme molteplici, di legami concreti di solidarietà. Rompere l'isolamento, creare queste forme solidali è l'inizio di un impegno, di una militanza che funziona non più “contro” ma “per” la vita, la gioia, attraverso la liberazione della potenza.

3 - La resistenza è molteplicità

La lotta contro il capitalismo, che non è riducibile alla lotta contro il neoliberismo, implica pratiche nella molteplicità. Il capitalismo si è inventato un mondo unico e monodimensionale, che però non è dato «in sé». Perché esista ha bisogno della nostra sottomissione e del nostro consenso. Questo mondo unificato è un mondo fatto merce, che si oppone alla molteplicità dell'esistenza, alle infinite dimensioni del desiderio, della fantasia e della creazione. E che si oppone, fondamentalmente, alla giustizia.
Per questo noi riteniamo che qualunque lotta contro il capitalismo che pretenda di essere globale e totalizzante rimanga ingabbiata nella struttura stessa del capitalismo, che è appunto la globalità. La resistenza deve partire e dispiegarsi nelle molteplicità, ma in nessun caso seguendo una struttura o una direzione globalizzante e accentratrice delle lotte.
Una rete di resistenza che rispetti la molteplicità è un cerchio che paradossalmente ha il centro in ogni sua parte. Possiamo accostare questa immagine a quella del rizoma di Gillez Deleuze: “In un rizoma si entra da qualunque parte, ciascun punto si connette con qualsiasi altro, esso è composto di direzioni mobili, senza fuori e senza fine, solo un dentro dal quale cresce e deborda, senza mai dipendere o derivare da un'unità; senza soggetto né oggetto”.

4 - Resistere non è desiderare il potere

Centocinquant'anni di rivoluzioni e di lotte ci hanno insegnato che, contrariamente alla visione classica, il luogo del potere, i centri di potere, sono anche luoghi di scarsa forza, cioè di impotenza. Il potere si occupa della gestione e non ha la possibilità di modificare dall'alto la struttura sociale se non lo consente la forza dei legami reali alla base. La forza, così, è sempre separata dal potere. Per questo noi distinguiamo tra quello che avviene “in alto” e quello che avviene “in basso”. Perciò la resistenza alternativa sarà tanto più forte quanto più saprà uscire dalla gabbia dell'attesa: da quel meccanismo classico che rimanda invariabilmente a un “domani”, a un poi, il momento della liberazione. I “padroni della libertà” ci chiedono obbedienza oggi in nome di una liberazione che vedremo domani, ma domani resta sempre domani; in altri termini, il domani (quello dell'attesa, del perpetuo rinvio, il domani degl'indomani che cantano) non esiste. Per questo suggeriamo ai “padroni della libertà” (commissari politici, dirigenti e altri militanti tristi): la liberazione qui e ora e l'obbedienza... domani.

5 - Resistere alla serializzazione

Il potere conserva e fa crescere la tristezza facendo leva sull'ideologia e sull'insicurezza. Il capitalismo non può esistere senza serializzare, separare, dividere. La separazione vince quando, a poco a poco, le persone, i popoli, le nazioni vivono nell'ossessione dell'insicurezza. Non c'è niente di più facile da disciplinare di un popolo di pecore, tutte convinte di essere lupi per le altre. L'insicurezza e la violenza sono reali, ma solo in quanto le ammettiamo, ove accettiamo quell'illusione ideologica che ci fa credere che ognuno di noi sia un individuo isolato dal resto e dagli altri. L'uomo triste vive come se fosse stato spinto in mezzo al palcoscenico dove gli altri non sono che comparse. La natura, gli animali, il mondo, sarebbero “beni di consumo” e ognuno di noi il protagonista, centrale e unico, delle nostre esistenze. Ma l'individuo non è che una finzione, un'etichetta. La persona, invece, è ognuno di noi in quanto accettiamo la nostra appartenenza a quel tutto sostanziale che è il mondo. Si tratta quindi di rifiutare le etichette sociali della professione, della nazionalità, dello stato civile, la ripartizione tra disoccupati, lavoratori, handicappati, dietro alle quali il potere cerca di uniformare e di schiacciare quella molteplicità che ognuno di noi è. Noi siamo, infatti, molteplicità frammiste e legate ad altre molteplicità. Per questo il legame sociale non è qualcosa che si debba costruire, quanto una cosa da assumere. Le etichette, gli individui, vivono e rafforzano il mondo virtuale ricevendo notizie della propria esistenza dallo schermo della televisione. La resistenza alternativa è quella che fa esistere il reale degli uomini, delle donne, della natura. Gli individui sono tristi sedentari ingabbiati nelle etichette e nei ruoli; l'alternativa impone di far proprio un nomadismo libertario.

6 - Resistere senza padroni

La creazione di un'esistenza diversa passa soprattutto attraverso la creazione di modi di vita alternativi, di modalità del desiderio differenti. Se desideriamo quello che possiede il padrone, desideriamo il padrone, siamo condannati a reiterare le famose rivoluzioni ma, stavolta, nel senso che questo termine ha in fisica, cioè di un giro completo. Si tratta, così, d'inventare e di creare concretamente nuove pratiche e nuove immagini di felicità. Se pensiamo di poter essere felici solo nel modo individualista del padrone e se chiediamo una rivoluzione che ci sappia soddisfare, saremo eternamente condannati a non far altro che cambiare padrone. Non si può essere davvero anticapitalisti e accettare nello stesso tempo le immagini di felicità generate da questo sistema. Se si desidera “essere come il padrone” o “avere quello che ha il padrone”, si resta nella condizione dello schiavo.
Le vie della libertà sono incompatibili col desiderio del padrone. Desiderare il potere del padrone è l'opposto del desiderio di libertà. La libertà è diventare liberi, è una lotta. Dalla resistenza sorgono immagini diverse di felicità e di libertà, immagini alternative legate alla creazione e al comunismo (nel senso di libertà e di comunanza che questo termine ricopre, nel senso di un'esigenza costante e non di un modello di società).
Quello che va creato è un comunismo libertario, non della necessità ma del piacere che ci è dato dalla solidarietà. E non si tratta di essere partecipi in modo triste, perché costretti, ma di scoprire la gioia di un'esistenza più piena, più libera. Nella società della separazione, la società capitalista, gli uomini e le donne non trovano quello che desiderano, devono accontentarsi di desiderare quello che trovano, come dice Guy Debord. La separazione è così separazione degli uni dagli altri, di ognuno di noi col mondo, del lavoratore dal suo prodotto, ma nello stesso tempo di ognuno di noi separato, esiliato, da se stesso. Tale è la struttura della tristezza.

7 - Resistenza e politica della libertà

La politica, nel suo significato più profondo, è legata alle pratiche di emancipazione, alle idee e alle immagini di felicità che da queste derivano. La politica è la fedeltà a una ricerca attiva della libertà. A questa concezione della politica si contrappone quella della “politica” come gestione dell'esistente così come appare. Ma questa, che noi chiamiamo gestione, pretende di essere tutta la politica e gerarchizza le priorità limitando, frenando e istituzionalizzando le energie vitali che la travalicano. Ma la gestione non è che un momento, una funzione, un aspetto. La gestione è rappresentazione e, in quanto tale, non è che una parte del movimento reale. Il quale non ha bisogno della rappresentazione per esistere, mentre questa tende a limitare la forza della presenza. La politica rivoluzionaria è quella che persegue in ogni istante la libertà, non in quanto sostanzialmente associata agli uomini e alle istituzioni, ma come divenire permanente che non vuole soffermarsi, fondersi, “incarnarsi” o istituzionalizzarsi. La ricerca della libertà è legata alla struttura del movimento reale, della critica pratica, della costante messa in discussione e dello sviluppo illimitato della vita. In questo senso, la politica rivoluzionaria non è il contrario della gestione. Quest'ultima, come parte del tutto, è una parte della politica. Ma quando la gestione tende a essere il tutto della politica, allora rappresenta esattamente il meccanismo della virtualizzazione, quello che ci fa sprofondare nell'impotenza.
La politica in quanto tale è l'armonia della molteplicità dell'esistenza in lotta costante con i suoi stessi limiti. La libertà è il dispiegamento delle sue capacità e della sua forza: la gestione non è che un momento limitato e circoscritto, quello della rappresentazione di questo dispiegamento.

8 - Resistenza e controcultura

Resistere significa creare e sviluppare contropoteri e controculture. La creazione artistica non è un lusso, ma una necessità vitale che è tuttavia negata alla maggioranza. Nella società della tristezza, l'arte è stata separata dalla vita e addirittura viene sempre più separata da se stessa, così com'è posseduta e infettata dai valori mercantili. È per questo che gli artisti, forse meglio di altri, comprendono che resistere è creare. Perciò ci rivolgiamo anche a loro, perché la creazione superi la tristezza, la separazione, perché possa liberarsi dalla logica del denaro e ritrovi il suo posto nel seno dell'esistenza.

 

9 - Resistere alla separazione

Resistere significa, anche, superare la separazione tra teoria e pratica, tra l'ingegnere e l'operaio, tra la mente e il corpo. Una teoria che si stacca dalle pratiche diventa un'idea sterile, e infatti nelle nostre università esiste una miriade di queste idee sterili. Ma nello stesso tempo le pratiche che si staccano dalla teoria si condannano a scomparire a poco a poco in una specie di autoassorbimento. Resistere, quindi, significa creare i collegamenti tra le ipotesi teoriche e le ipotesi pratiche, significa che chiunque sappia qualche cosa sappia anche trasmetterla a chi desidera liberarsi. Creiamo allora le relazioni, i legami che rafforzano le teorie e le pratiche dell'emancipazione, voltando le spalle al canto delle sirene che ci propongono di “occuparci della nostra vita”, alle quali rispondiamo che la nostra vita non vuole ridursi alla sopravvivenza e si estende oltre i limiti della nostra pelle.

10 - Resistere alla normalizzazione

Resistere significa, nello stesso tempo, decostruire il discorso falsamente democratico che pretende di occuparsi dei settori e delle persone escluse. Nelle nostre società non ci sono “esclusi”, siamo tutti inclusi, in modo diverso, più o meno degradante e orribile, ma comunque ci siamo dentro. L'esclusione non è un accidente, un “eccesso”. Quello che qualcuno chiama esclusione e insicurezza, lo dobbiamo vedere come la sostanza stessa di questa società innamorata della morte. Per questo, battersi contro le etichette implica anche il nostro desiderio di metterci in contatto con le lotte di coloro che sono chiamati “anormali” o “handicappati”. Noi affermiamo che non esistono uomini e donne “anormaIi” o “handicappati”, ma persone e modi d'essere diversi. Le etichette funzionano come minuscole prigioni in cui ognuno di noi è definito in base alle sue incapacità. Ora, quello che a noi interessa è la capacità, la forza, la libertà. Un handicappato è tale solo in una società che accetta la divisione tra forti e deboli. Rifiutare questa che non è se non barbarie significa respingere le cernite, le selezioni intrinseche al capitalismo. L'alternativa, pertanto, implica un mondo in cui ognuno prende la propria fragilità come un fenomeno normale dell'esistenza e in cui ognuno sviluppa ciò che può con gli altri e per sé. Che si tratti della lotta per la cultura della sordità (che è riuscita a far saltare in aria la tassonomia medica), o quella contro la psichiatrizzazione della società, o quella di tante altre ancora, tutte, lungi dall'essere piccole battaglie per un po' più di spazio, sono autentiche creazioni che arricchiscono l'esistenza. Per questo invitiamo a resistere con noi anche i gruppi che lottano contro la normalizzazione disciplinare medico-sociale in tutti i suoi aspetti.
Lo stesso avviene anche per le forme di irregimentazione tipiche dei sistemi educativi. La normalizzazione opera qui come minaccia costante di fallimento o di disoccupazione. Esistono, di converso, esperienze parallele, alternative e diverse rispetto alla scolarizzazione, in cui i problemi legati all'istruzione si sviluppano seguendo un'altra logica. Handicappati, disoccupati, pensionati, culture emarginate, omosessuali, sono tutte categorie sociologiche che operano separando e isolando sulla base dell'impotenza, di ciò che non si può fare, rendendo unilaterale e immiserendo il molteplice, ciò che può essere visto come sorgente di forza.

11 - Resistere alla chiusura

Resistere significa anche respingere la tentazione di una chiusura sulla propria identità che separi i “nazionali” dagli “stranieri”. L'immigrazione, i flussi migratori, non sono un “problema”, ma una realtà profonda dell'umanità che è sempre esistita ed esisterà sempre. Non si tratta di avere un atteggiamento filantropico, di essere “buoni con i forestieri”, ma di desiderare la ricchezza prodotta dalla commistione di lingue e culture. Resistere significa creare legami fra tutti i “senza”: i senza tetto, i senza lavoro, i senza documenti, i senza dignità, i senza terra, tutti i “senza” che non hanno il colore giusto della pelle, una giusta pratica sessuale e così via; un'unione dei “senza”, una fraternità tra i “senza”, non per essere “con” ma per costruire una società in cui i “senza” e i “con” non esistano più.

12 - Resistere all'ignoranza

Le nostre società, che pretendono di essere culture scientifiche, sono in realtà, da un punto di vista storico e antropologico, del tipo che ha prodotto il più alto grado d'ignoranza che l'epopea umana abbia mai conosciuto. In ogni cultura gli uomini hanno posseduto alcune tecniche: la nostra società è la prima a essere posseduta dalla tecnica. Il novanta per cento di noi ignora quasi tutti i meccanismi e le conoscenze del mondo in cui viviamo.
Così, la nostra cultura genera uomini e donne ignoranti che, sentendosi esiliati dal proprio ambiente, non esitano a distruggerlo senza alcuno scrupolo. La violenza di questo esilio è tale che per la prima volta l'umanità si trova davanti alla possibilità reale e concreta (e forse inevitabile) della propria distruzione. Ci dicono che, data la complessità della tecnica, la si deve accettare senza pretendere di capirla, ma il disastro ecologico ci dimostra che coloro che pensano di comprendere la tecnica sono ben lontani dal controllarla. È perciò urgente creare gruppi, nuclei, luoghi di socializzazione del sapere, perché uomini e donne possano nuovamente rimettere piede nel mondo reale.
Oggi la tecnica della genetica ci pone alle soglie di una possibile selezione tra gli esseri umani in base a criteri di produttività e di vantaggio. L'eugenetica, volendo far bene, disumanizza l'umanità. Ci vengono a dire che ormai è possibile arrivare a clonare un essere umano e la nostra triste umanità disorientata non sa più che cosa sia un essere umano... Si tratta di questioni profondamente politiche, che non devono restare nelle mani dei tecnici. La res publica non deve diventare la res technica.

13 - Resistenza permanente

Resistere significa affermare che, diversamente da quanto si era potuto pensare, la libertà non sarà mai un punto d'arrivo. La speranza ci condanna, paradossalmente, alla tristezza. La libertà e la giustizia non esistono che qui e ora, nei mezzi e con i mezzi che le costruiscono. Non esiste un padrone buono né un'utopia realizzata. Utopia è il nome politico dell'essenza stessa della vita, cioè il suo costante divenire. È per questo che l'obiettivo della resistenza non sarà mai il potere.
Il potere e i potenti sono, d'altronde, condannati a non discostarsi troppo da ciò che desidera un popolo. Perciò credere che il potere decida sulla realtà delle nostre esistenze è sempre in rapporto con un'attitudine da schiavo. L'uomo triste, come dicevamo, ha bisogno del tiranno. Non basta chiedere agli uomini che occupano il potere di promulgare questa o quella legge disgiunta dalle pratiche della base sociale. Non possiamo chiedere, per esempio, a un governo di fare leggi che diano agli strataliste. Nei Paesi centrali, intanto, con la scusa dell'insicurezza, si propongono alle classi popolari alleanze nazionali per meglio sfruttare il Terzo mondo.
La produzione capitalista è una produzione diffusa, ineguale e combinata. Per questo la lotta, la resistenza, devono essere molteplici ma solidali. Una liberazione individuale o settoriale non esiste. La libertà non si coniuga se non in termini universali: la mia libertà, in altre parole, non si ferma dove comincia quella dell'altro, ma la mia libertà non esiste se non a condizione della libertà dell'altro.
Anche se un soggetto rivoluzionario “in sé”, predeterminato, non esiste, ne esistono in ogni caso di molteplici che non sono predefiniti nella forma e non hanno una personificazione definitiva. Oggi assistiamo a una fioritura di coordinamenti, di collettivi e di gruppi di lavoratori che travalicano largamente i limiti delle rivendicazioni settoriali. Queste lotte devono, nell'ambito di ogni singolarità, di ogni situazione concreta, superare l'inquadramento del potere, rifiutare cioè la divisione tra chi ha lavoro e chi no, tra locali e immigrati, eccetera. Non perché chi ha lavoro, chi ha cittadinanza, chi è maschio, bianco eccetera deve essere “caritatevole” nei confronti del disoccupato, dell'immigrato, della donna, dell'handicappato eccetera, ma perché qualunque lotta accetti e riproduca queste differenze è una lotta che, per decisa che sia, rispetta e rafforza il capitalismo.
Ma la funzione operaia si decentra anche in un altro senso: dalla fabbrica classica come spazio fisico d'eccellenza della formazione del valore alla fabbrica sociale in cui il capitale si assume il compito di coordinare e di sussumere tutte le attività sociali. Il valore si diffonde in tutta la società, circola attraverso le forme molteplici del lavoro. Dato che l'accumulazione capitalista si estende sull'insieme della società, può essere sabotata in qualsiasi punto del circuito mediante atti d'insubordinazione.

16 - Resistenza e questione del lavoro

In parte, la costruzione delle gerarchie e delle categorie che ci sono imposte nasce dalla confusione tra la divisione tecnica e quella sociale del lavoro. Col termine lavoro, infatti, ci riferiamo a due cose diverse. Da un lato a un'attività costitutiva degli esseri umani, antropologica e ontologica, ovvero l'insieme delle relazioni sociali che ci conformano nell'ottica materialista della società e della storia. Ma dall'altro il lavoro è questo dovere alienante, questa forma moderna di schiavismo con la quale il capitalismo ci separa in classi. È quello che ci fa soffrire quando l'abbiamo e quando non l'abbiamo. Abolire il lavoro, inteso in questo senso, significa realizzare le possibilità dell'idea comunista libertaria del lavoro inteso nel primo senso.
Le gerarchie che si basano sulla monodimensionalità dell'esistenza nella questione del lavoro alienato, del lavoro dipendente, sono quelle che vanno dissolte aprendosi alla molteplicità dei saperi e delle pratiche della vita. Il lavoro ontologicamente inteso, l'insieme delle attività (tecniche, scientifiche, artistiche, politiche) che valorizzano effettivamente il mondo, è nello stesso tempo una fonte di democratizzazione radicale e di messa in discussione definitiva e totale del capitalismo.

17 - Resistere significa costruire pratiche

Resistere non significa, perciò, avere delle opinioni. Nel nostro mondo, diversamente da quanto qualcuno aveva creduto, non c'è un “pensiero unico” ma ci sono innumerevoli idee diverse. Tuttavia, le diverse opinioni non comportano necessariamente pratiche realmente alternative e in questo senso tali opinioni sono sotto l'impero del pensiero unico, ovvero della pratica unica. Bisogna farla finita con il meccanismo della tristezza, che fa sì che noi si abbia opinioni differenti e una pratica unica. Rompere con la società dello spettacolo significa non essere più spettatori della propria vita, spettatori del mondo.
Attaccare il mondo virtuale, questo mondo che ha bisogno per disciplinarci, per serializzarci, di metterci tutti davanti al televisore alla stessa ora, non equivale a dire come debbano essere in termini astratti il mondo, l'economia, la scuola. Resistere vuol dire costruire milioni di pratiche, di nuclei di resistenza che non si facciano mettere in trappola da quelle che il mondo virtuale chiama “le cose serie”. Essere davvero seri non è pensare alla globalità e constatare la nostra impotenza. Essere seri implica la costruzione, qui e ora, delle reti e dei collegamenti di resistenza che liberino la vita da questo mondo di morte. La tristezza è profondamente reazionaria. Ci rende impotenti. La liberazione, inoltre, è anche liberazione dai commissari politici, da tutti quei tristi e acidi “padroni della libertà”. Per questo la resistenza passa anche dalla creazione di reti che ci facciano uscire da questo isolamento.
Il potere ci vuole isolati e tristi: impariamo a essere allegri e solidali. In questo senso non vediamo nell'impegno una scelta individuale. Abbiamo tutti un certo grado d'impegno. I “non militanti”, gli “indipendenti” non esistono. Siamo tutti legati. Si tratta di sapere, da un lato, fino a che punto lo si è, e dall'altro, su quale versante della lotta.

18 - Resistere significa creare legami

È indispensabile riflettere sulle nostre pratiche, pensarle, renderle visibili, intelligibili, comprensibili. Riuscire a concettualizzare quello che facciamo rappresenta un aspetto della legittimazione di quanto costruiamo e concorre alla socializzazione dei saperi: essere cioè noi stessi lettori, pensatori e teorici delle nostre pratiche, essere capaci di apprezzare il valore del nostro lavoro per impedire che qualcuno c'immiserisca con letture normalizzatrici.
Questo manifesto non è un invito ad aderire a un programma e ancor meno a un'organizzazione. Noi invitiamo semplicemente le persone, i gruppi e i collettivi che si sentono rispecchiati da queste tematiche a prendere contatto con noi per cominciare a rompere l'isolamento. Vi invitiamo anche a fotocopiare e a diffondere questo documento con tutti i mezzi a disposizione.
Tutti i commenti, le proposte eccetera saranno benvenute. Noi c'impegniamo a farle circolare all'interno della Rete di Resistenza Alternativa. Non vogliamo stabilire un centro o una direzione, e mettiamo a disposizione dei compagni e degli amici l'insieme dei contatti della Rete perché il dialogo e l'elaborazione dei progetti non si svolgano in maniera concentrica.

19 - Resistenza e collettivo dei collettivi

Molti dei nostri gruppi o collettivi dispongono di pubblicazioni o di riviste. La Rete si propone di raccogliere e di mettere a disposizione degli altri gruppi questi saperi libertari che possono servire a rafforzare la lotta degli uni e degli altri. Centinaia di lotte spariscono a causa dell'isolamento o per mancanza d'appoggio, centinaia sono costrette a ripartire da zero, e ogni lotta che perde non è soltanto ”un'esperienza”: ogni sconfitta rafforza il nemico. Di qui la necessità di aiutarci a vicenda, di creare una “retroguardia sodidale” perché chiunque, in qualsiasi parte del mondo, lotti a suo modo, nella sua situazione, per la vita e contro l'oppressione, possa contare su di noi come noi speriamo di poter contare su di lui.
Il capitalismo non cadrà dall'alto. Per questo, nella costruzione delle alternative, non esistono progetti grandi e progetti piccoli.

Saluti fraterni a tutti i fratelli e le sorelle della costa.
(Saluto dei pirati: a differenza dei corsari, schiavisti e trafficanti, i pirati erano comunisti e sulle coste dove s'insediavano formavano libere comuni).