Poeti
del 1300
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Incisione di Boccaccio
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« Umana
cosa è l'aver compassione agli afflitti; e come che a ciascuna persona stea bene, a coloro è massimamente richiesto li quali già
hanno di conforto avuto mestiere, e hannol trovato
in alcuni: fra' quali, se alcuno mai n'ebbe bisogno, o gli fu caro, o già ne
ricevette piacere, io son uno di quegli. » |
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(Giovanni
Boccaccio, Decameron - incipit.) |
Giovanni Boccaccio (Certaldo
o Firenze, giugno/luglio 1313 – Certaldo, 21 dicembre 1375) è stato uno scrittore e poeta italiano.[1] Boccaccio è stato uno fra i maggiori narratori italiani e europei del XIV secolo: con il suo Decameron, che venne subito tradotto in molte lingue, diviene infatti conosciuto ed apprezzato a livello europeo, tanto da influire, per esempio, anche nella letteratura inglese, con Geoffrey Chaucer. Da alcuni studiosi[2] (tra i quali Vittore Branca) è considerato il maggiore narratore europeo e ha avuto un ruolo egemone nel panorama letterario del XIV secolo.Giovanni Boccaccio nasce in Toscana, probabilmente a Certaldo (anche se più volte è stata avanzata l'ipotesi dei suoi natali a Firenze) nel 1313, da padre mercante Boccaccino da Chellino, socio della compagnia commerciale e bancaria dei Bardi a Firenze, e da madre, che si ipotizza fosse di origini umili. Sicuramente nasce fuori dal matrimonio. Il padre si sposa con Margherita da Mardoli nel 1319 e un anno dopo nasce il fratellastro Francesco - il matrimonio con Margherita non è probabilmente sentito positivamente dal piccolo Boccaccio, tanto che alcuni critici ne derivano un rapporto rancoroso con il padre.
Il giovane inizia fin dall'età di sei anni ad apprendere il leggere e lo
scrivere, dimostrandosi incline a questa attività, nell'adolescenza Boccaccio
studia la letteratura classica, ma soprattutto quella latina, tralasciando di
più quella greca. Boccaccio non ha un vero e proprio maestro che gli insegna la
letteratura, ma si forma da solo, grazie alla sua immensa voglia di studiare e
di sapere: questo però gli crea qualche scompenso, infatti non ha una
formazione letteraria completa. Il padre cerca invano di deviare questa
inclinazione letteraria verso
Andrea del Castagno, Giovanni Boccaccio, Ciclo degli uomini e donne illustri, Firenze, Galleria degli Uffizi, 1448-1451
A Napoli, nel 1327, Boccaccio inizia il suo apprendistato presso la succursale della Compagnia dei Bardi, senza però alcun successo in questo ambito. Dopo circa sei anni di fallimenti, nel 1331, all'età di diciott'anni, il padre decide di ripiegare sul diritto canonico, nella speranza che il figlio possa imparare una professione. Anche gli studi di diritto canonico non hanno buon esito. In questo periodo napoletano egli vive con i nobili nella corte di Napoli, caratterizzata da sfarzi e ricchezze, e vede in essi l'incarnazione dei valori e degli ideali cortesi.
Boccaccio nel De genealogiis osserverà che le imposizioni del padre gli hanno impedito di divenire un miglior poeta e scrittore, in quanto l'hanno obbligato ad imparare un mestiere a lui odioso. Il periodo napoletano si conclude improvvisamente nel 1340 quando il padre lo richiama a Firenze per un forte tracollo economico a causa del fallimento di alcune banche in cui aveva fatto numerosi investimenti.[3]. Il padre morirà durante la peste nel 1348.
Trascorsi questi dodici anni nel tentativo di imparare un mestiere, Boccaccio può finalmente dedicarsi agli studi letterari sotto la guida di alcuni tra i più autorevoli eruditi del tempo, come il bibliotecario e mitologo Paolo da Perugia, l'astronomo Andalò del Negro e i diversi intellettuali della corte angioina.
In questo periodo Boccaccio esprime rimpianto per la vita di corte a Napoli nel romanzo in prosa Elegia di Madonna Fiammetta e compone opere, come l'Amorosa visione e il Ninfale fiesolano, legate alla tradizione fiorentina. Boccaccio vede Napoli "lieta, pacifica, abbondevole, magnifica", invece Firenze gli appare "triste, grigia e noiosa" con quella gente superba e avara che "bada solo a se stessa". La sua città comunque lo ama come personaggio illustre e si vale di lui in numerose missioni e ambascerie.
Nel 1347-1348, è ospite (cosa che gli permette anche di seguire le tracce di Dante) di Francesco Ordelaffi il Grande, a Forlì: qui frequenta i poeti Nereo Morandi e Francesco Miletto de Rossi, detto Checco, col quale ultimo mantenne poi amichevole corrispondenza. Tra i testi di questo periodo, si deve citare l'egloga Faunus, in cui Boccaccio rievoca il passaggio a Forlì di Luigi d'Ungheria (Titiro, nell'egloga), a cui si unisce Francesco Ordelaffi (Fauno, appunto), diretto verso Napoli. Il componimento viene poi incluso dal Boccaccio nella raccolta Bucolicum Carmen (1349-1367).
Nel 1360 Innocenzo VI offre a
Boccaccio un beneficio ecclesiastico ma i suoi amici cercano di compiere un
colpo di stato e quindi non gli vengono più concesse le prebendae.
Nel 1361 torna a Certaldo dove rimane fino al 1365 e
qui scrive opere in latino di matrice umanistica come
Il periodo che va dal 1365 all'anno della morte (1375) viene denominato "periodo fiorentino-certaldese": Boccaccio torna a svolgere incarichi pubblici per Firenze e cura un'edizione critica delle opere di Dante a cui premette il Trattatello in Laude di Dante. Nel 1370 trascrive un codice autografo del Decameron. Poi legge e commenta in pubblico la Commedia ma non la conclude a causa della sua cattiva salute. Il 21 dicembre del 1375 muore. Sulla sua tomba ha voluto che fosse ricordata la sua passione dominante, con la frase "Studium fuit alma poesis" che significa: la sua passione fu la nobile poesia.
Nella produzione del Boccaccio si possono distinguere le opere della giovinezza, della maturità e della vecchiaia. La sua opera più importante e conosciuta è il Decameron.
Busto del Boccaccio presso la Chiesa dei Santi Jacopo e Filippo a Certaldo
I protagonisti del Decameron in un dipinto di John William Waterhouse,
A Tale from Decameron, 1916, Lady Lever Art Gallery, Liverpool
Manoscritto con miscellanea latina, autografo del Boccaccio, Biblioteca Medicea Laurenziana, Firenze
Tra le sue prime opere di scarso livello [del periodo napoletano] vengono ricordate Filocolo (1336-38), Filostrato (1335), Teseida (1339-41), Caccia di Diana (1334/38) e le Rime (la cui composizione rimanda ad anni diversi). Tra le opere scritte durante la sua permanenza nella borghese Firenze emergono "La Comedia delle Ninfe fiorentine", "L'Amorosa visione" ed "Elegia di Madonna Fiammetta" (1343-1344).
Le opere della giovinezza riguardano il periodo compreso tra il 1333 e il 1346.
Poemetto in terza rima che celebra in chiave mitologica alcune gentildonne napoletane. Le ninfe, seguaci della casta Diana, si ribellano alla dea Afrodite ed offrono le loro prede di caccia a Venere, che trasforma gli animali, in bellissimi uomini. Tra questi vi è anche il giovane Boccaccio che, grazie all'amore, diviene un uomo pieno di virtù: il poemetto propone, dunque, la concezione cortese dell'amore che ingentilisce e nobilita l'uomo.
Il Filostrato (che alla lettera dovrebbe significare nel greco approssimativo del Boccaccio "vinto d'amore") è un poemetto scritto in ottave che narra la tragica storia di Troilo, figlio del re di Troia Priamo, che si era innamorato della principessa greca Criseida. La donna, in seguito ad uno scambio di prigionieri, torna al campo greco, e dimentica Troilo. Quando Criseida in seguito si innamora di Diomede, Troilo si dispera e va incontro alla morte per piede di Achille.
Nell'opera l'autore si confronta in maniera diretta con la precedente tradizione dei "cantari", fissando i parametri per un nuovo tipo di ottava essenziale per tutta la letteratura italiana fino al Seicento. Il linguaggio adottato è difficile, altolocato, spedito, a differenza di quello presente nel Filocolo, in cui è molto sovrabbondante.
Il Filocolo, che etimologicamente significa "fatica di venire", è un romanzo in prosa, rappresentando così una svolta rispetto ai romanzi delle origini scritti in versi. La storia ha due protagonisti, Florio e Biancifiore, due giovani che si amano dopo essere cresciuti insieme e sono costretti ad affrontare molte peripezie che li dividono, ma alla fine si ritrovano e si sposano. Florio si converte al Cristianesimo e alla morte del nonno, viene incoronato re.
Il Teseida è un poema epico in ottave in
cui si rievocano le gesta di Teseo che combatte contro Tebe
e le Amazzoni.
L'opera costituisce il primo caso in assoluto nella nostra storia letteraria di
poema epico in volgare e già si manifesta la tendenza di Boccaccio a isolare nuclei
narrativi sentimentali, cosicché il vero centro della narrazione finisce per
essere l'odio dei prigionieri talebani Arcita
e Palemone
per Emilia, sorella della regina delle Amazzoni; il duello fra i due innamorati
si conclude con la morte
La Comedia delle ninfe fiorentine (o Ninfale d'Ameto) è una narrazione in prosa, inframmezzata da componimenti in terzine cantati da vari personaggi. Narra la storia di Ameto un rozzo pastore che un giorno incontra delle ninfe devote a Venere e si innamora di una di esse, Lia. Nel giorno della festa di Venere le ninfe si raccolgono intorno al pastore e gli raccontano le loro storie d'amore. Alla fine Ameto è immerso in un bagno purificatore e comprende così il significato allegorico della sua esperienza: infatti le ninfe rappresentano la virtù e l'incontro con esse lo ha trasformato da essere rozzo e animalesco in uomo.
Si tratta di un poema in terzine suddiviso in cinquanta canti.
La narrazione vera e propria è preceduta da un proemio
costituito da tre sonetti
che, nel loro complesso, formano un immenso acrostico nel
senso che essi sono composti da parole le cui lettere (vocali e consonanti)
corrispondono ordinatamente e progressivamente alle rispettive lettere iniziali
di ciascuna terzina del poema.
La vicenda descrive l'esperienza onirica di Boccaccio che, sotto la guida di una donna gentile
perviene ad un castello, sulle cui mura sono rappresentate scene allegoriche
che vedono protagonisti illustri personaggi del passato. Più in dettaglio in
una stanza sono rappresentati i trionfi di Sapienza, Gloria, Amore e Ricchezza,
nell'altra quello della Fortuna.
Inevitabile segnalare lampanti affinità e influenza non latente con i pressoché
contemporanei "Trionfi" del Petrarca. Inoltre la precisa descrizione
degli affreschi ha permesso ad alcuni critici di identificare il castello
boccacciano con Castel Nuovo di Napoli,
affrescato da Giotto.
Dopo essersi soffermato con sfoggio di erudizione sulle bellezze degli
affreschi Boccaccio passa in un giardino dove incontra Madonna Fiammetta e
tenta di abusare di lei nel sonno.
Il risveglio tempestivo della donna e il fatto che questa ricordi al poeta il pericolo dell'imminente ritorno della guida prevengono l'attuarsi del gesto. Di lì a poco infatti la "donna gentil" torna affermando che il poeta potrà giungere al pieno possesso dell'amata conducendo una vita improntata ai virtuosi precetti il cui apprendimento era stato scopo essenziale del viaggio.
L'opera ha diversi debiti nei confronti di Dante e della Divina Commedia, soprattutto per quanto riguarda l'esperienza della "Visio in somnis" e la guida di una "donna gentil", ma va sottolineata anche la forte tendenza all'emancipazione del Boccaccio: mentre Dante segue in tutto e per tutto i dettami di Beatrice, Boccaccio in numerosi casi si ribella al patrocinio della guida, ad esempio nel preferire la via larga della mondanità, con le sue fatue attrattive a quella stretta e impervia che conduce alla virtù. Il tono sublime contrasta con la comicità di certe situazioni (in primis l'incontro con Fiammetta) cosicché alcuni critici hanno pensato ad un intento parodico da parte del Boccaccio nei confronti del poemetto allegorico didattico.
Romanzo in prosa suddiviso in nove capitoli che racconta di una dama napoletana abbandonata e dimenticata dal giovane fiorentino Panfilo. La lontananza di Panfilo le crea grande tormento accresciuto dal fatto che Fiammetta è sposata e deve nascondere al marito il motivo della sua infelicità. L'opera ha la forma di una lunga lettera, rivolta alle donne innamorate; la lunga confessione dell'eroina consente una minuziosa introspezione psicologica. La vicenda è narrata dal punto di vista della donna, un elemento assolutamente innovativo rispetto ad una tradizione letteraria nella quale la donna era stata oggetto e non soggetto amoroso: essa non viene più ad essere ombra e proiezione della passione dell'uomo ma attrice della vicenda amorosa; vi è, quindi, il passaggio della figura femminile da un ruolo passivo ad un ruolo attivo.
Il romanzo racconta di Fiammetta che incontra Panfilo in una chiesa e ne diviene subito amante; segue un periodo felice, interrotto dalla partenza dell’innamorato per Firenze. La vicenda continua con una successione di peripezie: inizialmente viene a sapere che Panfilo si è sposato per cui si rassegna alla dolorosa verità; la notizia viene smentita e l'eroina scopre che il suo amato è felicemente fidanzato con una fiorentina. Presa allora dalla gelosia tenta di uccidersi, ma la nutrice glielo impedisce. A questo punto Fiammetta tenta di consolarsi rievocando amori infelici di personaggi mitici o storici, solo per scoprirsi più misera ed infelice di loro e giungere ad una rivendicazione del primato nella sofferenza. Alla fine si viene a sapere di un prossimo ritorno di Panfilo a Napoli, ed ella ritorna a sperare.
È un poemetto eziologico in ottave. Si raccontano le origini di Fiesole e Firenze: l'opera è un cordiale omaggio alla città di Firenze.
Il giovane pastore Africo, che vive sulle colline di Fiesole coi
genitori, sorpresa nei boschi un'adunata di ninfe di Diana, si innamora di
Mensola, che, con le altre ninfe della dea, è obbligata alla castità. Vaga
inutilmente a lungo alla sua ricerca. Venere, apparsagli durante il sonno,
promette di aiutarlo. Della sua sofferenza e delle nascoste ragioni di tale
sofferenza si accorge il padre di Africo, che con grande affetto lo ammonisce a
non cercare le ninfe, ricordandogli con una storia la terribile sorte che
colpisce coloro che osano sfidare
Africo, disperato, si uccide e il suo sangue cade nel fiume che poi assumerà il
suo nome. La ninfa però è incinta, e nonostante si sia nascosta in una grotta,
aiutata dalle ninfe più anziane, viene un giorno scoperta da Diana, che la
trasforma nell'acqua del fiume che da quel giorno in poi assumerà il suo nome.
Il bambino viene invece affidato ad una vecchia ninfa che lo consegnerà alla
madre del povero pastore. Verrà chiamato Pruneo e
sarà il reggitore della città di Fiesole, fondata da Atlante, e il
capostipite di una famiglia che sarà destinata a mischiarsi con i cittadini di Firenze.
Con elegante semplicità riprende le cadenze e le formule linguistiche del "cantare" popolare toscano, a cui sovrappone fitti motivi di derivazione classica, specialmente da Ovidio. Non vi è l'erudizione che caratterizza le altre opere fiorentine; non ci sono allegorie. L'amore e il desiderio sono considerati sentimenti naturali che, per contrasto, fanno apparire barbare le ferree leggi della dea Diana che impone la castità alle ninfe.
Il capolavoro di Boccaccio è il Decameron, il cui sottotitolo è Il principe Galeotto (ad indicare la funzione che il libro avrà di intermediario tra amanti) e il cui titolo fu ricalcato dal trattato Hexameron di sant'Ambrogio. Il libro narra di un gruppo di giovani (sette ragazze e tre ragazzi) che, durante l'epidemia di peste del 1348, incontratisi nella chiesa di Santa Maria Novella, decidono di rifugiarsi sulle colline presso Firenze. Per due settimane, l'«onesta brigata» si intrattiene serenamente con passatempi vari, e in particolare raccontando a turno le novelle. Poiché il venerdì e il sabato non si narrano novelle, queste, disposte in un periodo di dieci giorni come indica in greco il titolo dell'opera (Ta tòn deca emeròn biblìa, ossia I libri (Ta biblìa) delle (tòn) dieci (deka) giornate (emeròn). Quindi il libro è composto da cento novelle.
I nomi dei dieci giovani protagonisti sono: Fiammetta, Filomena, Emilia, Elissa, Lauretta, Neìfile, Pampìnea, Dioneo, Filòstrato e Pànfilo. Ogni giornata ha un re o una regina che stabilisce il tema delle novelle; due giornate però, la prima e la nona, sono a tema libero. L'ordine col quale vengono decantate le novelle durante l'arco della giornata da ciascun giovane è prettamente casuale, ad eccezione di Dioneo (il cui nome deriva da Dione, madre della dea Venere), che solitamente narra per ultimo e non necessariamente sul tema scelto dal re o dalla regina della giornata, risultando così essere una delle eccezioni che Boccaccio inserisce nel suo progetto così preciso e ordinato.
L'opera presenta invece una grande varietà di temi, di ambienti, di personaggi e di toni; si possono individuare come centrali i temi della fortuna, dell'ingegno, della cortesia, dell'amore. Le novelle sono inserite, come si è detto, in una "cornice" narrativa, di cui costituiscono passi importanti il Proemio e l'Introduzione alla prima giornata, con il racconto della peste, e la Conclusione che offre la risposta dell'autore alle numerose critiche che già circolavano sulla sua opera. La sua originalità ha però avuto seguaci nella storia della letteratura, anche europea.
Riguardo alle sue censure, nonostante fosse stato considerato un testo proibito (ciò fin dal 1559), con l'introduzione della stampa il capolavoro del Boccaccio divenne uno dei testi più stampati; intorno al Cinquecento il cardinale Pietro Bembo lo definì il modello perfetto per la prosa volgare.
Dal punto di vista stilistico, presenta un eccellente gioco di simmetrie nel quale rientrano per analogia alcune delle tematiche predilette dal Boccaccio, come per esempio l'amore, la beffa, la fortuna, le peripezie... In particolare già nelle stesse novelle narrate si possono comprendere alcune concezioni dello stesso autore, ma contemporaneamente anche le relazioni tra gli stessi membri della brigata, spesso segnati da interessi amorosi o rivalità. Inoltre le novelle non vengono narrate durante il venerdì e il sabato, mentre nelle altre giornate un re o una regina scelgono il tema sul quale sviluppare delle storie. Come eccezione programmata a tale schema, compare la figura del giovane Dioneo, il quale non è vincolato dal tema proposto per ogni giornata. Infatti l'autore riflette il proprio io, sia su di lui, che su Panfilo e Filostrato (gli altri due ragazzi). I nomi scelti per i ragazzi non risultano nuovi, in quanto compaiono già nelle opere precedenti del Boccaccio o sono frutto di reminiscenze letterarie: Ellissa=Didone; Lauretta ricorda Petrarca. Il testo è indirizzato alle donne con l'intento di farle divertire, difatti i contesti principali del Decameron sono: natura, fortuna, amore, ingegno, intelligenza e beffa. Questo per rimediare alla Fortuna che ha concesso così tante distrazioni agli uomini (politica, commercio, caccia, gioco...) e alle donne nessuna distrazione contro le pene d'amore.
Statua di Boccaccio, Galleria degli Uffizi a Firenze
Il Corbaccio (o Laberinto d'amore) viene inizialmente datato tra il 1354 e il 1356, calcolando l'età del protagonista (quindi Boccaccio) basandosi sul passo. viene cioè effettuato il calcolo della stesura del Corbaccio sommando quarantuno anni (viene aggiunto un anno perché è l'età alla quale non si è più in fasce) all'anno di nascita di Boccaccio. Il filologo Giorgio Padoan però espone diverse e valide critiche al metodo utilizzato per la datazione dell'opera posticipando al 1365 o 1366 valutando la similitudine con le altre opere di quegli anni, in particolare le Esposizioni sopra la Comedia; a tutt'oggi è ritenuta la datazione più valida. Riguardo al titolo, il significato di Corbaccio non è mai stato del tutto chiarito, molti studiosi avvalorano la tesi che possa provenire da corvo, viste le molteplici analogie fra l'animale, che prima mangia gli occhi delle proprie vittime per poi cibarsi del cervello, e l'amore che rende prima ciechi e poi privi di senno.
La narrazione è incentrata sull'invettiva contro le donne. Il poeta, illuso e rifiutato da una vedova, sogna di giungere in una selva (che richiama il modello dantesco) nella quale gli uomini che sono stati troppo deboli per resistere alle donne vengono trasformati in bestie orribili: il Laberinto d'amore o il Porcile di Venere. Qui incontra il defunto marito della donna che gli ha spezzato il cuore, il quale dopo avergli elencato ogni sorta di difetto femminile, lo spinge ad allontanare ogni suo pensiero da esse lasciando più ampio spazio ai suoi studi, che invece innalzano lo spirito.
Questa satira si basa in particolare sulla concezione medievale, e tutto il pensiero giovanile del Boccaccio viene capovolto. Soprattutto nel Decameron, infatti, l'amore era visto al naturale, come forza positiva e incontrastabile e quelle opere stesse erano dedicate proprio alle donne, un pubblico non letterato da allietare con opere gradevoli; ora invece l'amore è visto come causa di degrado e le donne sono respinte in nome delle Muse, emblema di una letteratura più elevata e austera.
Questo capovolgimento è da attribuire in particolar modo ai turbamenti religiosi propri di Boccaccio negli ultimi periodi della sua vita e il trasporto maggiore che egli ebbe per una letteratura di alto livello, i cui destinatari non potevano che essere solo ed esclusivamente dotti.
Gli sono stati dedicati un cratere su Mercurio, Boccaccio e un asteroide, 19149 Boccaccio.
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iovanni Boccaccio nasce tra il giugno e il luglio del 1313, a
Firenze o a Certaldo in Valdelsa,
figlio illegittimo del ricco mercante, dipendente e poi socio del Banco dei
Bardi, Boccaccino di Chellino.
Leggendaria è la notizia della sua nascita a Parigi da una nobildonna di stirpe
principesca.
Dopo aver ricevuto i fondamentali insegnamenti
grammaticali e letterari, verso il 1327-'28 viene mandato dal padre a far
pratica bancaria a Napoli, nella succursale dei Bardi: la compagnia fiorentina
che insieme ai Peruzzi e agli Acciaiuoli detiene il
monopolio delle imprese finanziarie del Regno di Roberto d'Angiò. Questo
apprendistato mercantile e bancario si rivela un totale fallimento. Per sei
anni non fa altro che sprecare tempo in un'attività per lui odiosa; sempre per
volontà paterna ripiega sul diritto canonico, frequentando le lezioni di Cino
da Pistoia (noto maestro di diritto e famoso rimatore stilnovista, amico di Dante e Petrarca), ma vi
perde circa altri sei anni. Così finalmente abbandona gli studi ingrati, e da
autodidatta, leggendo sia i classici sia la contemporanea produzione romanzesca
cortese, si dedica interamente e avidamente alla poesia, a cui «un'antichissima
disposizione dello spirito lo faceva tendere con tutte le sue forze».
La sua formazione intellettuale e umana si
compie dunque nel più importante centro culturale italiano: lo Studio
(Università) napoletano, la ricchissima biblioteca reale e la stessa raffinata
corte angioina si configurano come punto d'incontro tra la cultura
italo-francese e quella arabo-bizantina, attirando da ogni parte poeti,
letterati, eruditi, scienziati e anche artisti come Giotto, che in quegli anni
sta lavorando agli affreschi del Castel Nuovo. Questo
vivace mondo culturale, l'aristocratica, elegante e gaia società della corte,
gli svaghi, i diletti e gli amori di questi anni spensierati e felici si
intravedono nella sua prima produzione letteraria, ispirata dall'amore per
Nel 1340-'41, in seguito al fallimento della
Compagnia dei Bardi, richiamato dal padre torna a Firenze a una vita di
ristrettezze economiche. Compone la Commedia delle Ninfe Fiorentine
(1341-'42), l'Amorosa visione (1342), l'Elegia di madonna Fiammetta
(1343-'44), piena di rimpianto per il mondo napoletano, ed infine il Ninfale
fiesolano (1344-'46).
Soggiorna a Ravenna, alla corte di Ostasio da Polenta (1345-'46); e poi a Forlì, al seguito di
Francesco degli Ordelaffi (1347-'48). Rientrato a
Firenze, nel 1348 assiste agli orrori e alla tragedia della peste (durante la
quale perde il padre), poi rievocata nell'opera che rappresenta il culmine
della sua esperienza creativa, il Decameron
(1349-'51).
Grazie alla sua fama letteraria riceve da parte
del Comune di Firenze importanti e onorifici incarichi ufficiali, come le
ambascerie in Romagna (1350), presso Ludovico di Baviera (1351), e presso i
papi Innocenzo VI (1354) e Urbano V ad Avignone e a
Roma (1365, 1367). Nel '50 è inviato a Ravenna per consegnare alla figlia di
Dante, suor Beatrice, un simbolico risarcimento per l'esilio del padre. Nel '51
si reca a Padova dal Petrarca per restituirgli il patrimonio familiare
confiscatogli dal Comune, e per offrirgli una cattedra del nuovo Studio.
Dopo la composizione del Decameron, inizia un periodo
di ripiegamento spirituale e di vocazione meditativa. Boccaccio si dedica
appassionatamente allo studio dei classici, scambiando testi antichi col
Petrarca, a cui è inoltre legato da un'affettuosa amicizia. Diffonde in Italia
e in Europa le più recenti e mirabili scoperte di codici e opere letterarie (Varrone, Marziale, Tacito, Apuleio, Ovidio, Seneca). Nel
1359 fa istituire presso lo Studio di Firenze la prima cattedra di greco,
assegnandola a Leonzio Pilato, a cui commissiona
anche la traduzione dei poemi omerici. Nell'ambito di questa ampia attività filologico-erudita di tipo umanistico si collocano i suoi
repertori sulle divinità classiche (De genealogiis
deorum gentilium),
sulla geografia (De montibus, silvis,
fontibus, lacubus, fluminibus, stagnis seu paludibus, et de nominibus maris), sulle più illustri figure femminili (De claris mulieribus), e
maschili (De casibus virorum
illustrium).
Nel 1355 o nel 1365 compone il Corbaccio.
Forti scrupoli morali lo portano a meditare persino la distruzione del Decameron
, ma il Petrarca in una lettera del 1364 lo dissuade, invitandolo a riflettere
sui valori spirituali dell'attività letteraria. Dopo aver ricevuto gli ordini
minori, nel 1360 ottiene da papa Innocenzo VI
l'autorizzazione ad aver cura di anime; e l'anno successivo, si ritira a Certaldo nella casa paterna, in cui crea con Filippo
Villani, Luigi Marsili e Coluccio
Salutati un centro di cultura umanistica.
Nel 1362, e poi ancora nel 1370, si reca a
Napoli nella speranza di trovarvi una decorosa sistemazione, ma entrambe le
volte torna a Certaldo deluso e amareggiato. Nel 1373
riceve l'incarico da parte del Comune di Firenze di commentare pubblicamente la
Commedia di Dante nella chiesa di Santo Stefano di Badia, ma dopo pochi
mesi, essendo sofferente di idropisia, è costretto a rinunciare alle sue
pubbliche letture, interrompendole al canto XVII dell'Inferno.
Stanco, malato e angustiato dalle solite
ristrettezze economiche, si ritira a Certaldo, dove
muore il 21 dicembre 1375, un anno e mezzo dopo il suo amico Petrarca.