Monastero di Santa María de El Paular, vicino a Madrid, Spagna
Un monastero è, nel Cristianesimo, un edificio comune (o una serie di edifici) dove vive una comunità di monaci o monache, sotto l'autorità di un abate o di una badessa. I monasteri non costituiscono un ordine religioso: ognuno di essi può essere una comunità a parte, oppure fare parte di confederazioni, con alcune funzioni di coordinamento e di mutuo aiuto.
Monastero non è sinonimo di convento. Quest'ultimo venne introdotto con l'avvento degli ordini mendicanti, i cui monaci sono chiamati "frati" e "suore", cioè fratelli o sorelle.
I monasteri cristiani iniziarono a nascere dopo l'epoca delle persecuzioni, sebbene testimonianze di vita ascetica comune in qualche modo regolata sono attestate fin dai primi secoli del cristianesimo in Oriente.
Il monastero è stato per molti secoli una piccola città, con la tendenza ad essere autosufficiente dal punto di vista economico. In molti monasteri si è tramandata nel Medioevo la cultura classica, attraverso l'opera di copiatura delle opere antiche. La diffusione dei monasteri in tutta Europa è considerata da molti un fattore decisivo della evangelizzazione del continente, soprattutto in alcune aree (si veda l'Irlanda).
I monaci vivono una vita di preghiera e di lavoro, spesso manuale, ma con varianti di grande importanza a seconda del periodo storico, dell'ordine e della regola di riferimento, della regione nella quale si trovano.
Presentano monasteri anche alcune religioni orientali, soprattutto il Buddhismo.
Nel monastero sono presenti diversi ambienti: il chiostro (il cortile interno), il dormitorio (le celle dei monaci), il refettorio (la mensa) e le officine, adibite alle varie attività lavorative. Una di queste era una grande sala, con molte finestre. Si chiamava scriptorium, lo scrittoio, in cui i monaci amanuensi copiavano i testi antichi. Le molte finestre servivano per dare maggior luce ai monaci.
Ritratto di Jean Miélot, segretario, copista e traduttore del duca Filippo di Burgundia.
L'amanuense o il copista, prima della diffusione della stampa, era la professione di chi copiava manoscritti per mestiere, a servizio di privati o del pubblico.
Nell'antichità classica la professione di amanuense era esercitata dagli schiavi, dopo le invasioni barbariche fu coltivata soprattutto in centri religiosi (in particolar modo le abbazie dei Benedettini) e nel XIII secolo si sviluppò una vera e propria industria di professionisti.
Ai fini della critica testuale, l'opera degli amanuensi di professione, molto più fedele all'esemplare che trascrive, è in generale più sicura di quella del copista occasionale o dello studioso che aveva la tendenza a interpretare il testo.
Attualmente il termine amanuense può essere utilizzato anche per indicare chi scrive a mano atti o documenti, nei casi in cui la legge richieda l'uso della scrittura manoscritta nella formazione degli atti (per es. i verbali delle riunioni di condominio).
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La parola, amanuense deriva dal latino servus a manu, che era il termine con il quale i romani definivano gli scribi. Questi monaci vivevano molte ore della giornata nello scriptorium (una particolare stanza presente in alcune strutture religiose che si trova in una posizione tale da catturare più luce possibile, utile durante il processo di copiatura degli antichi codici) e a coloro che svolgevano questo lavoro era permesso di saltare alcune ore canoniche di preghiera. All'attività degli amanuensi si lega il personaggio romano Flavio Magno Aurelio Cassiodoro, che fondò a Squillace, in Calabria, il monastero di Vivario dedicato allo studio e alla scrittura. Qui istituì uno scriptorium per la raccolta e la riproduzione di manoscritti, che fu il modello a cui successivamente si ispirarono i monasteri medievali. Durante il XIV secolo e il XV secolo, l'arte della copia degli antichi testi aveva raggiunto il suo culmine, i libri infatti dopo essere copiati dagli amanuensi, erano controllati sul piano grammaticale dai correctores (questo avveniva perché in quei tempi, dato l'ottimo salario degli amanuensi, molti semianalfabeti si diedero a questa attività) per poi essere miniati dai miniatores. Inoltre, presso le università, gli allievi per poter mantenere i propri studi copiavano, traducevano e miniavano molti codici.
Allo scopo di dimezzare i tempi di produzione un codice talvolta veniva dato da trascrivere dividendolo fra due amanuensi: ciascuno ricopiava la metà affidatagli e poi le due copie venivano riunite. Questo sforzo collettivo appare ancora più evidente per i grossi codici di lusso che richiedevano anche l'intervento dei miniatori, i quali entravano in gioco solo dopo che l'opera era stata completamente ricopiata dagli amanuensi.
I libri venivano solitamente scritti in quattro modi:
Dopo aver finito il processo di scrittura, gli amanuensi rilegavano le pagine e creavano una copertina: essa poteva essere tutta in oro battuto, in lamine di bronzo e angoli d'argento, o semplicemente in materiale cartaceo.
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L'Ordine di San Benedetto (in latino Ordo Sancti Benedicti o, semplicemente, O.S.B.), popolarmente denominato Ordine Benedettino, è un ordine monastico osservante la Regola dettata nel 534 da san Benedetto da Norcia e che conferì al monachesimo occidentale la sua forma definitiva.
San Benedetto da Norcia, Fondatore del'Ordine
I monaci Benedettini non rimasero chiusi nei loro monasteri, ma si dedicarono attivamente alla diffusione del messaggio cristiano e, anche con il sostegno di papa Gregorio Magno (590-604), si diffusero prima in Italia e poi al di là delle Alpi. Di particolare importanza fu l'opera di evangelizzazione svolta nelle aree britanniche e germaniche nel VII e VIII secolo, grazie all'ospitalità dei monasteri colombaniani [1] fondati da san Colombano specie quello di Bobbio che li ospitò a partire dal 643, dopo la distruzione di Montecassino [2] e la persecuzione da parte dei Longobardi ariani.
Molto conosciuto è il ruolo che svolsero in campo culturale: per quanto la regola benedettina non imponga direttamente e in modo coercitivo ore dedicate allo studio, ne accenna l'importanza. Da qui iniziò il processo di produzione di manoscritti, che sarebbe diventato in qualche modo precipuo durante il corso del medioevo. Alla produzione di codici di argomento religioso affiancarono il paziente lavoro di copiatura di testi antichi, anche scientifici e letterari. Tra l'altro il loro elevato livello culturale e la loro capillare diffusione sul territorio indusse Carlo Magno ad affidare proprio ai benedettini il compito di organizzare un sistema regolare di istruzione.
I benedettini prosperarono per tutto il medioevo, come testimoniano i circa 14.000 monasteri appartenenti all'ordine censiti prima del Concilio di Costanza tenutosi nel 1415, costruiti in luoghi isolati e lontani dalle città, alcuni dei quali erano così grandi che ospitavano oltre 900 monaci. L'ordine entrò però in crisi quando cominciarono a prendere piede le riforme avviate verso la fine dell'XI secolo
che incoraggiavano il lavoro missionario e parrocchiale fuori dal monastero. Questa tendenza si accentuò ulteriormente nel XIII secolo con la nascita degli ordini mendicanti e di quelli predicatori: i Francescani fondati nel 1210, i Domenicani nel 1210 ed i Carmelitani nel 1250. A partire da quell'epoca il monachesimo di clausura così come era conosciuto prima cessò di esistere ed i monasteri non furono più costruiti extra moenia (fuori dalle mura delle città) ma direttamente nei centri abitati.La riforma promossa a partire dal XV secolo da centri come quello di Santa Giustina di Padova e sanzionata nel secolo successivo dal Concilio di Trento (1545-1563) consentì il riprendersi dei centri monastici benedettini, sempre più spesso orientati a svolgere anche compiti di alta cultura, specie nel settore dell'erudizione storico-artistica e in quello musicale.
La Regola benedettina, in latino denominata Regula monachorum o Sancta Regula , dettata da San Benedetto da Norcia nel 534, consta di un Prologo e di settantatré capitoli. È una dettagliata regolamentazione dei diversi aspetti della vita monastica, che viene organizzata intorno a quattro assi portanti, volti a permettere di fare fronte alle tentazioni impegnando continuamente ed in modo vario il monaco: la preghiera comune, la preghiera personale, lo studio (non solo delle Sacre Scritture ma anche di scienza e arte) e il lavoro.
I monaci benedettini sono organizzati in monasteri canonicamente autonomi retti da un abate e federati in congregazioni con a capo un abate Presidente.
Nel 1893, per volere di papa Leone XIII, le congregazioni e gli altri monasteri dell'ordine non legati a nessuna di esse vennero riuniti in una Confederazione presieduta da un Abate Primate, eletto per dodici anni da tutti gli abati: l'abate Primate risiede presso il monastero di Sant'Anselmo di Roma.
Attualmente l'ordine è suddiviso in 20 congregazioni (tra parentesi, l'anno della fondazione):
Al 31 gennaio 2005 la confederazione contava 349 tra abbazie e priorati e 7.876 monaci, 4.350 dei quali sacerdoti.[3]
Tra le congregazioni soppresse o estinte si ricordano:
San Benedetto nella Regola menziona gli ambienti ed i ruoli chiave dell'organizzazione monastica con grande esattezza: l'oratorio, il dormitorio, il refettorio, la cucina, i magazzini, l'infermeria, il noviziato, gli ambienti per gli ospiti e indirettamente, il capitolo, l'abate, il priore, il cellario, l'infermiere ecc.
L'ampiezza delle comunità monastiche variavano enormemente in funzione della ricchezza e del prestigio: alcune erano piccolissime, altre (poche) potevano accogliere anche 900 monaci. In media però ne riunivano da 10 a 50 perché l'Abate doveva conoscere e seguire i suoi monaci e guidarli come un padre spirituale.
Solitamente costruito vicino ad un corso d'acqua, l'intero complesso monastico era orientato in modo che l'acqua poteva essere convogliata verso le fontane e la cucina prima di raggiungere la lavanderia ed i bagni.
Le origini della struttura del tipico monastero rimangono oscure. Probabilmente i monaci si rifecero in parte alle ville romane, edifici a loro familiari e costruite su uno schema unico in tutto l'Impero. D'altra parte i monaci, quando potevano, stabilivano le loro comunità in edifici preesistenti, spesso proprio delle ville di origine romana che poi adattavano alle loro esigenze. A volte occupavano anche edifici precedentemente dedicati a culti pagani.
Il tempo, l'esperienza e le esigenze delle comunità monastiche lentamente influirono sull'impostazione originale dei monasteri che, essendo comuni a tutte le latitudini, portò a monasteri a rassomigliarsi tra loro.
Alla fine l'aspetto generale del convento risultò essere quello di una sorta di città con case divise da strade ed edifici, soprattutto nei grandi monasteri, divisi in gruppi. L'edificio della chiesa forma il nucleo e rappresenta il centro religioso della comunità. Perseguendo l'indipendenza dal mondo esterno, inoltre, i monaci si dotarono di mulini, forni, stalle, cantine e dei laboratori artigiani necessari per eseguire riparazioni e quant'altro fosse richiesto per soddisfare le esigenze della loro comunità.
In altezza la chiesa di norma domina materialmente il resto dell'abbazia, inoltre è sempre molto ricca dimostrando la grande importanza che l'ufficio divino deve avere nella vita del monaco. La sua dimensione e ricchezza esprime anche la prosperità del monastero e spesso vi sono seppelliti i benefattori della comunità e conservate le reliquie dei santi.
Per la sua costruzione i monaci si rifecero soprattutto alle basiliche romane, molto diffuse in Italia: una navata centrale e due laterali illuminate da una fila di finestre sulle pareti, terminanti in un abside semicircolare.
Il chiostro (dal latino claustrum, luogo chiuso), è stilisticamente ripreso dall'atrium
delle ville romane ed è il luogo deputato alla meditazione (per questo vi vige la regola del silenzio) servendo ai religiosi da deambulatorio e riparo. È sempre circondato da portici sostenuti da colonne e pilastri ed è posizionato centralmente alle varie costruzioni del monastero di cui viene così a formare l'ossatura, infatti su di esso si affacciano gli edifici più importanti, come la chiesa, il capitolo per le riunioni della comunità monastica, il dormitorio (poi sostituito dalle celle), il refettorio.È il locale deputato alle riunioni della comunità monastica dove:
Sebbene San Benedetto non abbia mai nominato esplicitamente il capitolo, non di meno egli aveva ordinato nella Regola dei momenti di riunione così, intorno al IX secolo, si cominciò ad adibire un apposito locale allo scopo scegliendolo sempre accanto al chiostro.
Inizialmente nel capitolo si ci riuniva solo per la distribuzione del lavoro manuale tra i monaci, solo con il tempo fu dedicato esclusivamente alle riunioni ufficiali della comunità. Il suo nome deriva dalle letture (preghiere, sacre scritture e la regola dell'ordine) che accompagnavano abitualmente l'attribuzione delle varie incombenze. Benché il passo letto quotidianamente non corrispondesse sempre ad un capitolo, tuttavia questo nome restò attribuito alla sala.
Le biblioteche benedettine hanno svolto l'importantissima funzione di preservare, dopo la caduta dell'Impero Romano, le conoscenze antiche raccogliendo dalle rovine quello che veniva recuperato.
Anche ai giorni nostri la biblioteca di un monastero ha grande importanza, dato che la lettura e lo studio fanno parte integrante della vita monastica. Sono inoltre aperte e frequentate anche da studiosi esterni, che spesso solo lì possono reperire i documenti di cui necessitano.
Il dormitorio era la camerata comune dove, secondo la Regola, una lampada era mantenuta sempre accesa. Quando i monaci erano tanti, erano divisi tra più dormitori.
Con gli anni si passò dalla camerata comune alle celle. Dapprima si praticarono delle divisioni di legno per isolare il monaco dalle inevitabili distrazioni di una sala comune, incompatibili con le esigenze dell'attività intellettuale (studio). In seguito la stanza fu chiusa da una porta e, in tal modo, si giunse al tipo di costruzione attuale divenuto di uso generale dal XV secolo.
Il refettorio era la sala comune dove i monaci si riunivano per consumare i loro pasti. Originariamente costruito sul piano del triclinium romano, terminava in un'abside. I tavoli erano (e sono tuttora) normalmente disposti su tre lati lungo le pareti, lasciando il centro libero per gli inservienti. Vicino al refettorio c'era sempre una fontana dove si ci poteva/doveva lavare prima e dopo i pasti.
Per evitare che fosse solo un'occasione per appagare le proprie esigenza fisiologiche e rendere il tempo lì trascorso in un atto profondamente religioso, durante tutto il pasto un monaco a turno è incaricato di leggere brani tratti dalla Sacra Scrittura, per questa ragione vi vige regola del silenzio. Turni settimanali sono adottati anche per avvicendare i monaci nel servire gli altri in cucina.
Alla loro morte, i monaci erano seppelliti nel cimitero interno al monastero.
Nei secoli passati, quando le difficoltà delle comunicazioni rendevano enormi le distanze, i monaci avevano trovato il mezzo di annunziarsi scambievolmente la morte di un confratello e assicurare così i reciproci suffragi: d'abbazia in abbazia, di provincia in provincia, peregrinava un religioso che portava con sé la lista dei morti dove erano annotati i defunti dell'anno con un breve curriculum vitae.
Questo uso ha perduto la sua ragion d'essere ma ancora oggi, quotidianamente ed all'ora prima, i monaci ricordano i religiosi ed i benefattori defunti e, una volta al mese, tutta la comunità va a benedire le salme che riposano nei sepolcri.
L'onore di essere sepolti tra i monaci era un privilegio che la comunità talvolta poteva concedere a vescovi, re e benefattori.
Le comunità monastiche sempre ed ovunque hanno accordato una generosa ospitalità a tutti con spirito di servizio. Per questa ragione i monasteri costruiti lungo vie molto trafficate erano particolarmente attrezzati allo scopo e molto apprezzati. Spesso accoglievano anche ospiti di riguardo come re, principi e vescovi in viaggio insieme alle loro corti ed accompagnatori. Le infermerie erano collegate a queste ali del monastero per curare anche gli ospiti che ne avessero bisogno.
Gli edifici adibiti all'ospitalità erano spesso suddivisi in aree distinte in funzione del censo di chi dovevano accogliere: ospiti importanti, altri monaci o pellegrini e poveri viaggiatori. Erano, inoltre, posizionati dove meno interferivano con la privacy del monastero ed avevano anche una cappella perché gli estranei non erano ammessi nella chiesa utilizzata da monaci e monache.
L'infermeria era un edificio separato dedicato ad ospitare i monaci malati o deboli che erano affidati ad un monaco-medico. Era dotata di un orto per la coltivazioni delle erbe medicinali, il giardino dei semplici. Spesso erano poste vicino al dormitorio.
La cucina (dove i monaci servivano in turni settimanali) era naturalmente situata vicino al refettorio. Nei monasteri più grandi c'erano più cucine: per i monaci, i novizi e gli ospiti.
I gabinetti erano separati dagli edifici principali ed erano raggiungibili percorrendo un corridoio. Erano sempre disposti con grande cura verso l'igiene e la pulizia e forniti di acqua corrente ogni volta che era possibile.
Molti monasteri avevano scuole esterne per gli oblati, ragazzi destinati dai loro genitori alla vita monastica. In anni recenti alcuni hanno istituito anche scuole e collegi aperti a giovani che non hanno la chiamata religiosa.
I novizi, non essendo ancora parte della comunità, non avevano il diritto di frequentare la zona di clausura. Avevano un posto nel coro durante gli uffici divini, ma trascorrevano il resto del tempo nel noviziato. Un monaco anziano, il prefetto o maestro dei novizi, li istruiva nei principi della vita religiosa e li sorvegliava. Il periodo di prova durava una settimana. I noviziati più grandi avevano propri dormitori, cucine, refettori, sale di lavoro ed anche chiostri.
Le aziende agricole sono intese dalla regola da un lato come un'occasione di lavoro, dall'altro come un mezzo di sostentamento che assicurava al monastero l'autonomia alimentare.
Pur mantenendosi ben curata ed ordinata, oggi non ha più l'importanza dei secoli passati, quando la terra costituiva l'elemento quasi esclusivo della ricchezza monastica. Oggi la funzione della tenuta monastica, dove pure essa esiste, è quella di permettere al monastero di trarne, almeno in parte, i prodotti necessari al proprio sostentamento.
Nessun monastero era completo senza le sue dispense per conservare il cibo. C'erano, inoltre, granai, cantine e altri locali di servizio; tutto posto, insieme agli edifici delle fattorie, sotto la tutela del monaco cellaio.
Molti monasteri possedevano mulini per macinare il grano.
A partire dal tardo Medioevo separati erano anche gli appartamenti del capo della comunità: l'abate.
Per assicurare il buon funzionamento del monastero, soprattutto nei monasteri più grandi, l'abate si avvaleva di una serie di collaboratori che a lui rendevano conto per lo svolgimento di molte mansioni.
L'autorità massima del monastero è nelle mani dell'abate che può avere alle sue dirette dipendenze un priore ed un sotto-priore. Nei grossi monasteri, l'amministrazione spiccia è a carica di diversi altri monaci.
Il priore è il vice dell'abate che, tra l'altro, lo sostituisce durante le sue assenze. Se necessario può essere coadiuvato da un sotto-priore.
Il cantore (o precentor) si occupa dei canti durante i servizi divini. Suo assistente è il succentor. È anche uno dei tre monaci che conserva le chiavi del monastero. Tra gli altri suoi compiti c'è
Il portinario è il monaco responsabile dell'ingresso e dell'uscita dal monastero.
Il sagrestano è incaricato di curare la Chiesa insieme con il suo arredo ed i paramenti sacri. Oltre a mantenere tutto in ordine e pulito e preparare la chiesa per le funzioni (ad es. accendendo le candele), tra le altre sue responsabilità c'è anche l'illuminazione interna al monastero e per questo sovrintendeva alla costruzione di candele e del cotone necessario per i malati.
Al fine di non lasciare la chiesa incustodita, mangiava e dormiva in appositi locali nei suoi pressi.
Il suo assistente principale era il revestarius che si occupava dei paramenti sacri e degli arredi dell'altare. Un altro era il tesoriere incaricato di reliquari, vasi sacri ecc.
Il cellerario si occupa del cibo e della sua conservazione. In caso di necessità è esentato dalla partecipazione ai cori. Tra le sue incombenze c'è anche la scelta degli inservienti laici dei servizio in refettorio. Era incaricato anche della legna, il trasporto di materiali (non solo cibo), la manutenzione degli edifici ecc. Suo aiutante è il vice-cellerario e, nel forno, il granatorius che si assicura della qualità delle granaglie.
Il refettorista è incaricato di curare il refettorio, assicurare la pulizia dei luoghi, degli arredi e delle posate. Si occupa anche del lavandino, delle relative tovaglie e, quando necessario, dell'acqua calda.
Il cuciniere ha la grande responsabilità di fare le porzioni ed evitare sprechi. Fra i suoi collaboratori c'è l'ampor che si occupa degli acquisti all'esterno.
Fra gli altri compiti del cuciniere c'è il mantenimento di un registro delle spese e di un inventario dei beni a sua disposizione da illustrare settimanalmente all'Abate. È anche responsabile della pulizia delle posate e dei locali.
Per i suoi impegni è spesso esentato dai cori.
I frati che servono nel refettorio in turni settimanali sono sotto i suoi ordini. A conclusione dei loro turni, la domenica sera lavano i piedi ai confratelli.
L'infermiere doveva curare amorevolmente deboli e malati e, quando necessario, era esentato dalla partecipazione alle funzioni comuni. Dormiva sempre nell'infermeria, anche quando non c'erano malati, così da essere sempre reperibile in caso di emergenza.
L'elemosiniere era incaricato di distribuire le elemosine, in cibo e vestiti, con spirito di carità e discrezione.
Nel Medioevo l'ospitalità ai viaggiatori da parte dei monasteri era così frequente che il maestro degli ospiti richiedeva grande tatto, prudenza e discrezione, così come affabilità, poiché la reputazione del monastero era nelle sue mani. Suo primo dovere era di assicurarsi che i locali erano sempre pronti per riceverli, che proprio lui doveva accogliere, secondo quanto espresso dalla Regola, come lo stesso Cristo, e durante la loro permanenza sopperire alle loro necessità, intrattenerli, condurli in chiesa per assistere alle funzioni, ed essere sempre a loro disposizione
Il ciamberlano sovrintendeva il guardaroba dei fratelli, il loro rammendo o rinnovo di quelli sdruciti, mettendo da parte quelli non più usati per distribuirli ai poveri. Supervisionava anche la lavanderia ed l'acquisto all'esterno del necessario per il confezionamento degli abiti. Sempre suo compito erano i preparativi per il bagno, il lavaggio dei piedi ed il taglio della barba dei confratelli.
Il maestro dei novizi era uno dei monaci più importanti. Nella chiesa, nel refettorio, nei chiostro o nel dormitorio sorvegliava i novizi e trascorreva il giorno ammaestrandoli e facendoli esercitare sulle regole e le pratiche tradizionali della vita religiosa, incoraggiando ed aiutando chi dimostrava una reale vocazione.
Il settimanale era incaricato di cominciare tutte le Ore canoniche, dare le benedizioni richieste e cantare nella messa solenne celebrata giornalmente.
I servizi settimanali includevano, oltre a quelli già ricordati, il lettore nel refettorio che era incoraggiato a prepararsi bene al fine di evitare errori durante l'ufficio. C'era anche l'antifono il cui dovere era di intonare la prima antifona dei salmi e guidare la recitazione delle funzioni.
"Ti ho lodato sette volte al giorno", questo sacro numero di sette si esprime nei momenti di preghiera: Lodi, Prima, Terza, Sesta, Nona, Vespro e Compieta.
Prima dell'alba il monaco si alza al suono della campana e si reca in chiesa per la recita dell'ufficio notturno, che termina con le lodi mattutine.
Al termine di questo spazio di tempo riservato alla preghiera, il monaco inizia il proprio lavoro che non interrompe più sino alla Messa conventuale, centro di tutta l'ufficiatura e punto culminante della vita monastica.
La campana dell'Angelus ricorda l'ora del pranzo: nel refettorio l'Abate benedice la mensa ed il lettore che, come vuole la regola, leggerà un brano di Santa Scrittura durante il pasto.
Dalla lettura ad alta voce deriva naturalmente la legge del silenzio per evitare ogni diminuzione di raccoglimento.
A tavola ed a turni settimanali i monaci si servono a vicenda mentre uno legge la [[redirigo wikilink a Bibbia|Sacra Scrittura]].
Dopo il pranzo c'è un'ora di ricreazione comune. Pare che la ricreazione attuale dei monasteri benedettini non risalga alle origini dell'istituzione monastica, sebbene la Regola di San Benedetto assegnasse già ai monaci qualche momento al giorno per lo scambio delle parole necessarie: comunque, dal IX secolo, la ricreazione è ammessa ovunque ed attualmente avviene due volte al giorno, a mezzogiorno e alla sera.
Al termine della ricreazione i monaci ritornano al loro lavoro.
La campana della cena riunisce di nuovo la comunità monastica per un pasto rapido e frugale, seguito da una breve ricreazione. Quindi il monastero si immerge nel silenzio: è l'ora di compieta, la preghiera della sera, l'ultimo atto della giornata del monaco.
L'abate benedice i monaci e, dopo qualche altra preghiera per i morti o alla Vergine, dopo aver detto "il Signore ci conceda una notte serena ed un riposo tranquillo" tutto tace.
La lunga ed operosa giornata del monaco è chiusa.
Da compieta all'indomani mattina, finito l'ufficio notturno, nessuno può rompere il silenzio senza un grave motivo.
Con i Benedettini la cura del lavoro manuale ed intellettuale creò nel Medioevo una sinergia unica ed irripetibile: studiando i testi antichi recuperarono nozioni ormai dimenticate in campo scientifico ed agricolo che misero a frutto nei loro monasteri e, per imitazione, si diffusero anche fuori.
Ad esempio, è tutta da ascrivere a merito dei Benedettini la rinascita medioevale dell'interesse per la letteratura medica e la coltivazione di erbe medicinali per uso terapeutico. Agli insegnamenti del passato loro aggiunsero la pratica della medicina come dovere etico del cristiano. D'altra parte nella Regola si impone che almeno due monaci in ogni convento siano (dovevano essere) addetti alla cura degli infermi negli stessi locali del convento in una zona non frequentata dai frati. Tra i compiti assegnati ai monaci-medici c'è (c'era) anche il reperimento e lo studio delle opere mediche a disposizione nel convento per poter conseguire l'abilità necessaria per la loro attività.
Esemplare è, in proposito, il caso di Salerno dove, in un monastero nei pressi della città i Benedettini già nell'820 avevano istituito un'infermeria aperta anche all'estero e molto contribuirono alla nascita della famosa Scuola medica salernitana.
Per quanto riguarda l'agricoltura, introdussero la rotazione triennale (il primo riferimento storico è stato rintracciato in un documento del 763 conservato nel Monastero di San Gallo in Svizzera) che consentì di migliorare la resa dei campi, trasformando i monasteri in avviate aziende agricole.
Il progresso tecnico e scientifico era ulteriormente avvantaggiato dalla circolazione delle conoscenze da un monastero all'altro attuato attraverso lo scambio dei testi ricopiati dagli amanuensi.
Per tutte queste ragioni i monasteri benedettini vennero a svolgere un ruolo centrale nella società medioevale accogliendo personalità di primo piano. Così il numero crebbe insieme a quello dei monaci tanto che in quell'epoca non erano rari i monasteri che ospitavano oltre 900 individui ai quali occorre ancora aggiungere i numerosi dipendenti laici e le loro famiglie che vivevano nei paraggi. Considerando, inoltre, che i monasteri Benedettini erano sempre edificati in aree isolate e disabitate, essi spesso mettevano a frutto terreni abbandonati o boschivi da altri ignorati contribuendo ulteriormente alla crescita economia.
I primi due monasteri dell'ordine (uno maschile ed uno femminile) furono fondati da San Benedetto a Montecassino nel 529. Lui si occupò di quello maschile, mentre il femminile fu posto sotto la guida di Santa Scolastica, sua sorella.
Nel medioevo le più importanti abbazie benedettine italiane furono l'abbazia di Farfa, quella di Nonantola, la Novalesa e quella di San Vincenzo in Volturno; in Germania l'Abbazia di Fulda e quella di Reichenau; in Francia Tours, Saint-Denis e Cluny.
Altri monasteri benedettini italiani:
Santa Scolastica (Norcia, 480 – Piumarola, 547) è stata una religiosa italiana. Venerata come santa vergine dalla Chiesa cattolica, dalla Chiesa ortodossa e dalla Chiesa anglicana, è la fondatrice e patrona dell'ordine delle monache benedettine.
Santa Scolastica |
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Statua della santa a Montecassino |
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fondatrice |
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Nascita |
480 ca. |
Morte |
547 ca. |
Venerato da |
Chiesa cattolica,
Chiese ortodosse, Chiesa anglicana |
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Santuario
principale |
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Ricorrenza |
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Attributi |
abito monacale,
colomba, giglio |
Patrono di |
suore benedettine,
puerpere, Le Mans, invocata contro la pioggia e i fulmini |
Indice ·
3 Note |
Forse sorella gemella di Benedetto da Norcia, Scolastica nacque a Norcia verso il 480; il padre, Eutropio Anicio, discendente dall'antica famiglia senatoriale romana degli Anicii, era Capitano Generale dei romani nella regione di Norcia, mentre la madre, Claudia Abondantia Reguardati, contessa di Norcia, morì subito dopo aver partorito i due gemelli. Il padre, che aveva dedicato grandi cura ai due bambini, fece voto di destinarla alla vita monastica.
Secondo quanto riporta san Gregorio Magno (anche lui della gens Anicia) nel secondo libro dei Dialoghi, all'età di dodici anni fu mandata a Roma assieme al fratello per compiere gli studi classici, ma entrambi restarono profondamente turbati per la vita dissoluta che vi si conduceva. Benedetto per primo decise di ritirarsi in eremitaggio. Scolastica, rimasta unica erede del ragguardevole patrimonio della famiglia, rifiutando ogni attaccamento ai beni terreni, chiese al padre di potersi dedicare alla vita religiosa entrando in un monastero vicino a Norcia. Il padre, pur soffrendo per la separazione dalla figlia, ricordandosi del voto fatto, accettò la sua decisione. Qualche anno dopo seguì il fratello a Subiaco e quando Benedetto fondò l'abbazia di Montecassino, volle seguirlo e ai piedi di Montecassino, a circa 7 km a sud dell’abbazia, fondò il monastero di Piumarola, dove assieme alle consorelle seguì la regola di San Benedetto dando origine al ramo femminile dell'Ordine Benedettino.
Una delle maggiori raccomandazioni di Scolastica era di osservare la regola del
silenzio, e di evitare soprattutto la conversazione con persone estranee al
monastero, anche se si dovesse trattare di persone devote che andavano a
visitarle. Ella diceva [1]:
|
« Tacete,
o parlate di Dio, poiché quale cosa in questo mondo è tanto degna da doverne
parlare? » |
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(santa
Scolastica) |
Della sua vita si conoscono solo poche vicende agiografiche narrate nel secondo Libro dei Dialoghi di san Gregorio Magno, che però propongono soprattutto aneddoti ed esempi di santità, narrati parlando di santa Scolastica prevalentemente in riferimento al fratello, padre del monachesimo occidentale.
I due fratelli si incontravano una volta all'anno in una casa a metà strada
tra i due monasteri, divenuta poi oggetto di culto per molto tempo. Gregorio
racconta che nell'ultimo di questi incontri, avvenuto il 6 febbraio
547, poco prima della
sua morte, Scolastica chiese al fratello di protrarre il colloquio spirituale
fino al mattino seguente, ma Benedetto si oppose per non infrangere la regola. Allora Scolastica implorò il Signore di
non far partire il fratello e scoppiò in un pianto dirotto: subito dopo scoppiò
un inaspettato e violento temporale che costrinse Benedetto, che vi riconobbe
un miracolo, a rimanere con lei conversando tutta
Ancora Gregorio narra che Benedetto ebbe notizia della morte della sorella, avvenuta tre giorni dopo il loro ultimo incontro, "da un segno divino": vide l'anima della sorella salire in Cielo sotto forma di una bianca colomba. La seppellì nella tomba dove anch'egli fu sepolto, poco più tardi: «come la mente loro sempre era stata unita in Dio, nel medesimo modo li corpi furono congiunti in uno stesso sepolcro».
Secondo i monaci benedettini le reliquie di Scolastica e Benedetto sono conservate sotto l'altare maggiore della basilica di Montecassino. Altro luogo ove sono custodite reliquie della Santa è presso il Casino di Cicco sito in Sant'Apollinare.
Secondo un'altra tradizione le reliquie di Scolastica e di Benedetto si troverebbero in Francia, infatti nell'anno 583 l’abbazia di Montecassino fu distrutta dai Longobardi, come del resto aveva profetizzato lo stesso san Benedetto e la tomba dei due fratelli rimase sepolta sotto le rovine del monastero.
Nell'anno 660 san Mommolo secondo abate dell'abbazia benedettina di Fleury, leggendo i Dialoghi di Gregorio Magno, fu preso da compassione al pensiero che i corpi di san Benedetto e di santa Scolastica fossero rimasti abbandonati sotto le macerie del monastero di Montecassino, inviò allora a Montecassino il monaco Aigulfo con il compito di ritrovare le reliquie del loro padre fondatore. Aigulfo giunse a Montecassino e vi trovò una delegazione di abitanti della città di Le Mans, che, con il suo stesso intento, erano alla ricerca delle reliquie di santa Scolastica. Riuscirono a ritrovare la tomba con le reliquie e le riportarono a Fleury, dove sorse una disputa fra i monaci che volevano conservare riunite le reliquie dei due santi e i Mansesi, che pretendevano le reliquie di santa Scolastica, infine decisero di di conservare a Fleury quelle di Benedetto e di portare a Le Mans quelle di Scolastica. Ma Aigulfo, aveva portato le reliquie riunite in un’unica cassa così come le aveva trovate. Provarono quindi a dividerle seguendo il criterio che le ossa più grandi dovevano appartenere a Benedetto, mentre le più piccole appartenevano a Scolastica. Poi avvicinarono ad esse i corpi di due ragazzi morti da poco, prima avvicinarono quello di una ragazza alle ossa grandi e non avvenne nulla, poi l’avvicinarono alle ossa piccole e la ragazza resuscitò, la stessa cosa fecero con il ragazzo che resuscitò quando fu avvicinato alle ossa grandi.
In memoria di questo miracolo costruirono una cappella dedicata a santa Scolastica sullo stesso posto, a qualche chilometro dall’abbazia di Fleury. Le reliquie di Scolastica furono quindi traslate a Le Mans dove furono conservate in un monastero di suore fatto costruire appositamente dal vescovo san Berario. Da allora ogni anno l'11 luglio, in ricordo della traslazione, a Le Mans si celebrava una grande festa in cui venivano portate in processione le reliquie della santa.
Nell'874 il monastero fu saccheggiato dai Normanni, ma le reliquie di Scolastica furono salvate e nascoste in una casa vicina. Nel 969 il conte Ugo I del Maine, per conservarle, fece costruire vicino al suo palazzo la chiesa di San Pietro, più tardi eretta a collegiata reale. Nel 1563 gli Ugonotti saccheggiarono e bruciarono tutte le reliquie dei santi presenti a Le Mans, ma miracolosamente non poterono impadronirsi delle reliquie di Scolastica, anzi nella notte dell'11 luglio furono presi da un grande panico e fuggirono dalla città abbandonando anche i documenti del loro concistoro, che sono conservati tuttora nella biblioteca pubblica. Le reliquie sfuggirono anche alle devastazioni avvenute durante La Rivoluzione Francese quando la chiesa di san Pietro fu sconsacrata e le reliquie di Scolastica furono trasferite nella chiesa della parrocchia di san Benedetto, in questa chiesa sono conservate ancora le bolle pontificie originali che autorizzavano a Le Mans una confraternita di santa Scolastica. Oggi il culto di santa Scolastica è ancora molto diffuso a Le Mans, ma la processione non si tiene più.
Una parte delle reliquie di santa Scolastica furono donate, nel IX secolo all'imperatore Carlo il Calvo e a sua moglie Richilde di Provenza che le fece portare nell'abbazia di Juvigny, nella diocesi di Verdun, costruita appositamente, questa fu distrutta durante la Rivoluzione francese e oggi sono conservate nella chiesa parrocchiale di Juvigny les Dames. Nel 1870 l'abbazia di San Pietro di Solesmes ottenne una parte di queste reliquie che conserva tuttora [2]
Alcune leggende, diffusesi specialmente nel Teramano, parlano di un martirio subito da Scolastica, con l'amputazione finale delle mammelle. In realtà tale notizia non è provata, ma i devoti la considerano, a causa di ciò, la protettrice delle puerpere; viene anche invocata per difendersi dai fulmini e per ottenere la pioggia.